La giunta regionale della Lombardia nei giorni scorsi ha stanziato “una dotazione finanziaria di 150.000 euro per progetti di promozione e valorizzazione della lingua lombarda, in tutte le sue varietà locali”.

diffusione dialetti in Lombardia

L’assessore Cristina Cappellini ha annunciato che “con questo primo strumento ad hoc intendiamo nobilitare il nostro patrimonio linguistico quale elemento fondamentale del patrimonio culturale immateriale, componente essenziale dell’identità sociale e storica che si esprime nella grande varietà delle singole voci locali”. Tra gli argomenti a sostegno dell’iniziativa, anche i risvolti sull’attrattività turistica della Lombardia quale regione caratterizzata dalla sua specifica e variegata storia e cultura.

Questo provvedimento segue la linea tracciata dalla legge regionale n.25, approvata nell’ottobre dello scorso anno, sulle politiche regionali in materia culturale, che al Titolo IV tratta proprio la “salvaguardia della lingua lombarda”. In questo contesto, lo scorso 21 febbraio si è tenuto, presso la sede della Regione, un convegno sull’argomento, con la presenza dell’assessore Cappellini, del cantautore lariano Davide Van de Sfroos e del prof. Marco Tamburelli, docente di bilinguismo alla Bangor University (UK).

Alla pubblicazione della legge ha fatto seguito una dura reazione dell’Accademia della Crusca, per mezzo del prof. Paolo D’Achille, il quale ha sostenuto che “oggi non ha alcun senso parlare di lingua lombarda” e che “l’espressione potrebbe essere usata solo per indicare il complesso dei dialetti lombardi”. Il professore aggiunge: “È vero che anche i dialetti sono lingue: da un punto di vista generale ogni dialetto può essere considerato e definito lingua, perché non esistono elementi di carattere strutturale tali da tracciare un confine netto”. “È però indubbio che, sul piano storico-culturale, i due termini esprimono concetti diversi“. D’Achille paventa inoltre “un futuro in cui nella regione si usino solo lombardo e inglese e si possa tranquillamente fare a meno dell’italiano”.

La reazione della Crusca non è però piaciuta ai linguisti del Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici (CSPL), tra i quali si annovera anche il sopracitato prof. Tamburelli, che hanno risposto con una dettagliata lettera nella quale si descrivono le tesi della Crusca come “scioccanti luoghi comuni” e si evidenzia come “il termine lingua è usato esattamente per indicare un complesso di parlate“, che “ogni lingua cambia da una zona all’altra” e che lo stesso italiano ha numerose varietà regionali – pur restando una lingua. La lettera rimanda inoltre alla lista delle “lingue regionali d’Europa censite nell’Atlante UNESCO, dove appare anche la lingua lombarda”.

Oggettivamente il lombardo compare tra le lingue in pericolo di estinzione stilato dall’UNESCO, dove è definita “definitely endangered” (decisamente in pericolo), oltre ad essere codificata dall’organizzazione internazionale ISO con il codice 639-3 “LMO”. Viene descritta, peraltro, nella pubblicazione Ethnologue del SIL International.

Il CSPL fa inoltre un parallelo con un’altra lingua: “Nemmeno il catalano, che è forse una delle lingue regionali più socialmente sviluppate al mondo, può vantare il livello di standardizzazione e di uso formale che vanta lo spagnolo. Ma non per questo il catalano è “meno lingua” dello spagnolo”. L’argomento era già stato toccato dal Comitato lo scorso anno con un articolo volto ad evidenziare come molte lingue abbiano più di una forma standard e molte varietà parlate (come l’inglese, il norvegese o il romancio) e come molte altre una forma standard non l’abbiano affatto (come il ladino dolomitico, che è invece riconosciuto come lingua ufficiale dallo stato italiano in Trentino Alto-Adige).

Questa incomprensione tra le due parti non è casuale, ma è dettata dal differente significato che viene attribuito alle parole “lingua” e “dialetto” nelle accademie italiane rispetto a quanto avvenga a livello internazionale. In Italia, infatti, la distinzione ha basi sociologiche e di prestigio: per Treccani, “nemmeno gli studiosi trovano una risposta unica e condivisa sulle differenze tra una lingua e un dialetto” ma “si può dire che il dialetto potrebbe essere definito come una lingua utilizzata da un gruppo ristretto di persone, in un luogo specifico e che non ha usi ufficiali”. Quindi una questione di contesto.

Nella linguistica estera la valenza dei due termini può essere diversa: ad esempio, il termine inglese “dialect” può indicare semplicemente una varietà di una lingua, intendendo quindi una lingua come un insieme di dialetti, che è la tesi del CSPL. In questo senso, secondo i linguisti del CSPL, indicare il lombardo come dialetto – e quindi varietà – dell’italiano non concorderebbe con la genesi dei vari dialetti lombardi, che si sono evoluti a partire dal latino contemporaneamente al dialetto fiorentino – divenuto poi base dell’italiano moderno – e non a partire da quest’ultimo. I primi testi in volgare lombardo sono infatti databili tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, mentre il fiorentino si diffuse come lingua franca lungo la penisola solo a partire dalla fine del Quattrocento, per l’azione politica di Lorenzo de Medici.

La questione si è ulteriormente infiammata quando l’emittente milanese Radio Lombardia, lo scorso 11 aprile 2017, ha commentato la notizia dei finanziamenti con un articolo intitolato “150 mila euro per valorizzare il lombardo, lingua che non esiste” e che si introduceva con un lapidario “Come sbattere 150 mila euro nel cesso“. La perentorietà e – forse – l’ineleganza della sortita ha fatto sì che il post fosse invaso dai commenti dei sostenitori della tutela dei dialetti lombardi; perentorietà forse non giustificata dall’esiguità della cifra erogata nel contesto dei 26 miliardi totali del bilancio della Regione. La radio ha replicato con una radiointervista al già menzionato prof. D’Achille; il Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici ha chiesto la possibilità di una controreplica del prof. Tamburelli, cosa che – al momento in cui scrivo – non ha ancora avuto luogo.

Certamente lo scontro è esacerbato anche da ragioni politiche, vista l’associazione che spesso si fa tra l’uso del dialetto ed un noto partito politico della destra italiana, associazione che sta dietro anche alle numerose battaglie sui cartelli stradali con l’aggiunta del nome dialettale della località, che vengono puntualmente installati e rimossi in numerosi comuni del Nord Italia al cambiare del colore del sindaco. Recentemente, a Novara – dove si parla un dialetto di tipo lombardo, nonostante l’appartenenza alla Regione Piemonte – questi cartelli sono stati reinstallati, dopo la rimozione voluta dalla precedente amministrazione.

Questa identificazione di un partito di destra con i dialetti locali mette l’Italia in una posizione curiosa se comparata con altri paesi europei, come la Scozia e la Catalogna, laddove la difesa delle lingue locali è appannaggio dei partiti di centrosinistra (ad esempio lo Scottish National Party) ed è avversata dai partiti nazionalisti di destra.
Non resta che auspicarsi che la discussione continui con ragionevolezza e toni pacifici, senza ulteriori politicizzazioni, considerando che la cultura appartiene a tutti e che i dialetti lombardi sono parlati da quasi 4 milioni di persone, dentro e fuori la Lombardia e l’Italia.

Articolo scritto da Stefano Tòdi
Fonte: https://www.facebook.com/notes/stefano-t%C3%B2di/




Scritto da: Stefano Tòdi
Data: 14 Aprile 2017
Categoria: Cronaca


2 Commenti

  1. Mike Sciking - | Rispondi

    Stefano, secondo me avresti potuto citare il briefing del Parlamento europeo che bolla quei perentori “buttati nel cesso” come esempi di razzismo.

  2. Gian - | Rispondi

    Volevo rassicurate tutti i lombardi sul fatto che l’Accademia della Crusca NON ESISTE!!! Non è il lombardo come lingua che non esiste, ma è l’Accademia della Crusca che NON ESISTE!!!!


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